Perché ha chiuso lo Yag bar (e perché presto riaprirà)

Gettonatissimo a inizio millennio tra il popolo gay di Firenze, lo Yag bar era un simbolo della movida lgbt in città. Chiuso tre anni fa, ora promette di rinascere dalle sue ceneri.

 
Il proiettore spara video musicali a getto continuo. Sullo schermo si agitano Madonne (nel senso pop del termine) e dive di casa nostra. Davanti al bancone una fauna di avventori, colorata da un turbinio di luci. Ricordi di un locale gay che fu, uno dei più gettonati a Firenze durante il cambio di millennio: lo Yag bar di via dei Macci, luogo di flirt e di risate con gli amici.
Sarebbe diventato “maggiorenne” il prossimo primo ottobre, ma complice la crisi, la concorrenza dei mini-market con alcol a basso prezzo e il proliferare di one-night lgbt, ha tirato giù il bandone nel maggio 2014. Presto però il club potrebbe “resuscitare”, anche se in un luogo diverso dalla chiesa sconsacrata del quindicesimo secolo dove è nato a un tiro di schioppo da piazza Santa Croce.
Ad anticiparlo è Luciano Carta, uno dei soci che nel 1999, dopo aver lavorato per un’altra pietra miliare della movida gay fiorentina, il Tabasco, aprì il primo internet café gay della città: questo era all’inizio lo Yag. “Volevamo un nome breve che si potesse ricordare facilmente, quindi perché non usare gay al rovescio?”, spiega. Era l’epoca in cui le serate arcobaleno in centro si dividevano tra il Tabasco in zona piazza della Signoria, il Crisco di via Sant’Egidio e il Piccolo vicino Santa Croce.
Oggi lo Yag promette di tornare. L’idea c’è, il nuovo luogo è top secret, restano da sbrogliare soltanto (si fa per dire) le questioni burocratiche. “Sono in attesa dello scioglimento della società al quale farà seguito la riapertura di un nuovo Yag, marchio registrato, in una nuova location”, dice Carta. Difficile anticipare i tempi, almeno per il momento.
E allora, nell’attesa, restano i dettagli indimenticabili del vecchio Yag: l’omino roteante con il caffè in mano, inossidabile logo animato del locale; la doppia porta all’ingresso, che filtrava gli accessi e costringeva chi entrava a una breve “passerella” sotto gli occhi dei frequentatori. E infine lui, il dj-vj che sceglieva i video da sparare sul maxi-schermo. Se provavi a chiedere qualche “cartuccia” fuori posto (ad esempio: “Mi metti la Rettore?”), rispondeva con sorriso sornione: “Certo, più tardi!”. Tanto a fine serata, dopo ore di chiacchiere, qualche cocktail in più nello stomaco e un flirt in ballo, non avresti mai rammentato la tua richiesta.