Come nasce il long island iced tea? La storia originale ve la racconta FUL.

La rubrica Liquid Housewife curata dal nostro Julian Biondi (bartender fiorentino) ci porta in questo articolo alla scoperta delle origini del Long Island Iced Tea.

Storia che, se pensate di conoscere già per i discorsi sul Volstead act, vi consigliamo di continuare a leggere perché questa è una delle frottole più fasulle tra le leggende della miscelazione.

Oggi parliamo di un cocktail che, seppur consumato solitamente per perdere ogni forma di amor proprio, ha una sua dignità. Lo abbiamo bevuto tutti almeno una volta, e ha funto da sapiente moderatore tra noi ed il sudaticcio resto del mondo nelle varie serate in discoteca della nostra adolescenza. Ci sono ancora persone alla soglia dei trent’anni che si ostinano ad ordinare questo drink, come se non avessero capito che a quest’età quando si beve “a caso” il dopo-sbornia è puntuale come un orologio svizzero e fragoroso come una minaccia atomica nordcoreana.

Più o meno tutti almeno una volta abbiamo cercato di nobilitare questo drink più che altro per sentirci in pace con noi stessi, facendone risalire la storia ai tempi del proibizionismo americano:
“Il Long Island Ice Tea veniva preparato con tutti gli alcolici disponibili, e poi macchiato con della Coca Cola, così che la gente potesse consumarlo tranquillamente fingendo di bere dell’innocente tè freddo”.
Ecco, questa è una delle più grandi fandonie che la storia della miscelazione è riuscita a tramandare alle generazioni future. Non solo ad un pubblico generico, ma anche a sedicenti professionisti che si sono lasciati abbindolare da questa affascinante panzana.

Il fatto è che durante gli anni del “Volstead Act”, la legge che proibì il consumo di bevande alcoliche negli Stati Uniti d’America, reperire da bere non era cosa semplicissima. Si beveva ciò che arrivava: principalmente Whiskey americano prodotto in vasche da bagno clandestine, gin prodotto nei tubi di scarico delle cantine sotterranee e – nel caso dei ceti più abbienti – rum proveniente dal sud America o raro Cognac francese.


La vodka non esisteva proprio sul suolo americano, essendo un prodotto legato alla classe operaia sovietica (nella prossima puntata vi parlo di come diventerà famosa in America e nel mondo). Il liquore all’arancia (triple sec, cointreau ecc…) c’era ma era difficilmente reperibile, perché i contrabbandieri preferivano non rischiara il gabbio per importare alcool di bassa gradazione, del tequila non parliamone neanche prima di altri 70 anni…

Ma allora da dove viene questo drink?

Siamo a Long Island, sono gli anni 70, un giovane barman in camicia hawaiiana trascorre la vita sulla spiaggia della east coast americana, bevendo cose a caso purché colorate e cercando di fare colpo con le giovani turiste. Si chiama Bob Butt, ed il cognome non lo aiuta (vuol dire “culo” in inglese), quindi si fa chiamare da tutti “Rosebud”. Lavora all’Oak Beach bar e un giorno gli viene detto:
“Bob, c’è una gara indetta da questa marca di triple sec, perché non ti inventi qualcosa?”

Bod Butt inventore del long island Iced tea.

Ricetta:

2cl di: Vodka, Gin, Tequila, Triple sec, Rum bianco.
3cl succo di limone, 2cl zucchero liquido
Uno spruzzo di Coca-Cola.

Allora lui -che probabilmente non aveva molta voglia di sbattersi a pensare troppo- prese tutti i distillati bianchi che aveva (rum, vodka, gin e tequila), ci aggiunse il triple sec, il succo di limone e lo zucchero. Gia che c’era, visto che il tutto aveva un colore molto sgradevole, ci buttò uno spruzzo di Coca Cola. Il risultato fu quella bevanda color tè che, giustamente, fu chiamato
“Long Island Ice Tea”.

Qua sopra un video recente del vecchio Bob, che conduce un’esistenza spensierata nonostante l’età, e che nonostante sia diventato famoso in città (e indirettamente anche nel mondo) non sarà mai ricco. Eh già, perché sui cocktail, essendo essi un effimero patrimonio dell’umanità (scusatemi, ma mi piace pensarla così) non esiste un copyright. L’unica cosa che possiamo fare è pensare a lui ed ogni tanto dedicargli un brindisi!

Julian Biondi