Gabry Fasano, dalle notti in villa ai film di Sorrentino: retroscena di una vita da DJ.

Gabry Fasano è un vero punto di riferimento per tutti coloro che hanno vissuto il fenomeno della Progressive, uno dei dj più amati nella storia dell’elettronica italiana. Grazie alla sua musica – che ha risuonato per 10 anni ogni fine settimana al Jaiss, celebre discoteca di Sovigliana Vinci – ha raggiunto le consolle di tutto il mondo, diventando l’icona di un enorme movimento che vive ancora molto forte il ricordo di quegli anni.

 
Lo scorso Novembre il Jaiss ha inaugurato un nuovo corso, tornando nella sua vecchia location che adesso si chiama Mind Club. Dopo il successo della prima, Gabry Fasano, Miki e il Jaiss torneranno ad esibirsi di nuovo questo sabato 11 Marzo. Noi lo abbiamo incontrato per farci raccontare un po’ di retroscena e di aneddoti sulla sua vita e sulla leggenda del Jaiss.
Gabry tu sei stato uno dei primi a girare i dischi in Italia. Chi è stato il tuo mentore?
“Ho avuto più di un mentore. Qualcuno in Italia e qualcuno altro invece sono andato a ricercarlo più lontano. La prima volta in discoteca per me fu ad Ibiza, all’Amnesia nell’estate del 1988. Nell’isola, l’estate precedente era scoppiato il movimento della House Music. Io ero poco più che un ragazzino, ascoltavo i Pink Floyd, i Led Zeppelin… odiavo la discoteca. Quella sera suonavano un dj argentino, Alfredo Fiorito, e un dj italiano Leo Mas, al quale mi ispirai tantissimo all’inizio. In Italia andavo sempre a sentire al Movida di Jesolo la triade Leo Mas, Gemolotto e Fabrice, che facevano una ricerca musicale incredibile, geniale, non c’erano cose così in Italia.
Un altro mentore fu il compianto Roberto Mastelloni, che da un piccolo negozio in centro a Firenze importava dischi di Techno e Acid House dagli Stati Uniti. E io iniziai a comprarli.
Altro mentore è stato mio padre, che mi ha fatto usare un giradischi e suo cugino, che mi ha regalato l’altro. Li smontai e rimontai per togliere i blocchi del pitch. 
Un maestro su tutti, Sven Vath che ascoltai alla Love Parade nel 1997. Da quel momento ho pensato a quanto ci eravamo persi a non mescolare ancora di più le cose”.

 
 
Nella tua bio dici di aver iniziato a suonare nelle ville fiorentine. Raccontaci qualcosa in più.
“Avevo un amico che organizzava bellissime feste private in villa qui tra la Toscana e la Liguria. Gli regalai delle cassette che avevo registrato e lui mi invitò subito a suonare. Da lì in poi è stata una scintilla, l’acid house stava esplodendo e tantissime persone si stavano appassionando al movimento.  Una delle ville si trovava all’inizio di Via Lungo l’Affrico. È in una di queste ville che conobbi il proprietario dell’Imperiale. E nel giro di qualche mese, mi ritrovai al Kama“. 
Se digiti il tuo nome su Google il primo suggerimento è Cacciabombardiere. Chi è stato il primo uomo sulla terra a chiamarti così?
“Non ricordo bene. Mi sembra fosse stato un ragazzo molto divertente di Bergamo che frequentava il Jaiss ad avermi chiamato così. In realtà bisognerebbe chiedere a Roberto Francesconi che poi lo utilizzò e lo rese celebre. Chiaramente ora tutti mi chiamano Caccia. Addirittura qualcuno anche in famiglia”. 
Sembra tu abbia un figlio con una passione musicale…
“No, io ho due figli che vogliono fare i dj! Anche se io non ho voluto insegnare loro nulla perché mi piacerebbe facessero altro. Si rinchiudono ognuno nella propria stanza ad ascoltare techno. Abbiamo una playlist familiare in sharing. Il mio primogenito Brian si è comprato un piccolo controller della Ableton per Natale. In due di giorni aveva fatto qualcosa come nove tracce con un sound Detroit pazzesco.
Sono un paio di anni che mi pressano per andare a un festival stile TimeWarp o TomorrowLand, vedremo in futuro, altrimenti andranno per conto loro quando sarà il momento”. 
Definiresti ancora il tuo sound come “Dancefloor hi lo fi Tech”? E soprattutto… che vuol dire?
“Ah ah, ma quella era una cavolata che mi inventai. Giuro che non è una supercazzola. Volevo descrivere una cosa raffinata che si scontrava contro una cosa più rude, che aveva un impatto devastante sulla dancefloor! Ora non lo chiamerei più così. Adesso i miei dischi hanno un sound completamente diverso rispetto a quello che suonavo 20 anni fa ma la mia visione per la dancefloor non è mai cambiata”.


Che cosa ti portò al Jaiss?
“Ero al secondo anno all’Insomnia che – mi piaceva tantissimo – ma non avevo troppi spazi. C’erano Miki e Farfa che facevano cose incredibili. Si era liberato un posto al Jaiss e fui chiamato da Simone Pacchietti di 585, la storica direzione artistica del Jaiss. A me piacque subito molto l’idea di andarci ma non avrei assolutamente immaginato che cosa sarebbe diventato dopo. Il Jaiss aveva un impianto audio potentissimo, non avevo mai suonato con una potenza del genere. Fin da subito c’era un’alchimia tra luci, suoni, persone da tutta Italia. E senza accorgermene ci ho passato 10 anni bellissimi”. 
Ma è vero che sei molto timido? Come hai fatto a suonare davanti a migliaia di persone ogni fine settimana?
“Io sono timidissimo. Odio le telecamere, i microfoni, non mi piace parlare in pubblico. È per questo che mettevo il cappellino all’inizio. Era un modo per coprirmi, non avevo voglia di apparire”. 
Quanto è stato terrorizzante per te andare a Domenica In?
“Quella fu una cosa folle. Si andò in pullman andata e ritorno a Roma negli studi della Rai per due volte. Prove e diretta. Nel mezzo a queste due cose una serata al Jaiss. 
Domenica In aveva dedicato uno spazio al fenomeno delle discoteche e ne invitavano una ogni settimana diversa. Tutti avevano una coreografia studiata, si erano molto preparati. Noi non avevamo nulla. Gli autori del programma preoccupatissimi. Parenti e amici da casa a guardarti in diretta. Ma il risultato fu clamoroso il pubblico di vecchietti iniziò a ballare, non credevamo ai nostri occhi quando tutti ci fecero i complimenti. In realtà io avevo un ruolo marginale, io e Miki abbiamo semplicemente messo un disco a testa”.
A proposito di back to back c’è un dj della new generation con cui ti piacerebbe fare un disco a testa al momento?
“Ce ne sono tantissimi, talmente tanti che non saprei chi scegliere onestamente. Mi è sempre piaciuto tantissimo Marco Carola, fin da quando era poco più che un ragazzo. Ma davvero sono veramente tantissimi. Uno su tutti forse Sven Vath, anche se non è della new generation e forse non sarebbe neanche interessato. Una volta lo invitai a casa mia dopo una serata. Rimase due giorni a suonare ininterrottamente. Dopo 24 ore filate tra i giradischi, un ragazzo di Bologna, dj molto bravo del Link, gli chiese in italiano: “possiamo fare un disco a testa?” e lui rispose scocciato: “I am not a Ping Pong dj”. Eravamo tutti piegati in quattro dal ridere”.


Qualche mese fa il Jaiss è tornato nella sua vecchia casa e vi esibirete nuovamente questo sabato. Un nuovo corso nella stessa location?
“Si è riunita una vecchia famiglia grazie principalmente a Simone di 585. Io e Miki siamo tornati in consolle insieme al Mind Club. Che per una notte torna a chiamarsi Jaiss e ad avere quella stessa visione, quello spirito, quella mentalità ma con un sound evoluto. Un sound che vuole fare divertire come faceva divertire 20 anni fa. Sì, è un nuovo corso nella stessa location. Ai nostri primi sostenitori dico solo di venire a sentire un po’ di musica, chi si ferma è perduto… magari si divertono e stanno bene”.
A quali altri progetti stai lavorando?
“Adesso sto lavorando molto nel cinema, registro e monto effetti sonori per i film. Un giorno ho scoperto che il programma per registrare nel cinema era lo stesso che usavamo alla BXR, una etichetta underground con cui ho collaborato grazie a Mauro Picotto. Allora mi si è aperto un mondo, ho comprato registratori e microfoni e ho cominciato a registrare di tutto. Poi ho iniziato a vendere su Internet delle registrazioni in Dolby Sorround 5.1 che fino a quel momento non c’erano. Da lì mi contattano per fare un film: Youth – La Giovinezza di Paolo Sorrentino, il primo film italiano mixato in un sistema chiamato Atmos che registra il suono in 3d.
Poi ho lavorato a The Young Pope, Smetto Quando Voglio e Veloce Come il Vento, che è candidato al David di Donatello proprio per il suono”.
Giovanni Bondì